giovedì 27 settembre 2007

Quasi un'introduzione

A detta di alcuni, ogni cosa è, o dovrebbe essere, "politica", cioè politicamente connotata. A detta di altri, la "politica" andrebbe invece limitata, se non soppressa: meno ce ne sarà in futuro, e tanto meglio sarà per tutti (eccetto, va da sé, che per quei mangiapane dei "politici"). C'è chi la considera un male necessario, chi un inutile gravame, e perfino chi la esalta, magari intendendola in modo del tutto anomalo.
Ma cosa davvero sia, questa benedetta (o maledetta) "politica", pochi lo insegnano, pochi lo sanno, ed ancora meno se ne discute. Il che è negativo, se si pensa che questo termine, in età antica, era sostanzialmente sinonimo di civiltà e libertà, e soleva designare un'attività non soltanto nobile, ma indispensabile: la "più architettonica", per dirla con Aristotele.
Pensare la politica, indipendentemente dalla nostra opinione su di essa, è comunque (quasi) un dovere: perché è affar nostro, perché ci riguarda, perché - come fece notare Julien Freund - la nostra stessa esistenza dipende, in qualche misura, da decisioni politiche.
Ma per poter pensare è indispensabile conoscere. Diviene quindi necessario addentrarci con serietà ed impegno al di sotto della superficie, passando al setaccio il nostro vocabolario.
Qualche esempio? "Stato", "potere", "diritto", "democrazia"... Concetti a prima vista abbordabili, ma di cui raramente padroneggiano il significato. Pensare la politica significa, in primo luogo, compiere un viaggio fra le parole. Significa imparare, poco a poco, ad utilizzare un lessico banale solo in apparenza, che invece riassume - condensandoli - turbinosi secoli di Storia.
Con questo spirito è stato progettato il corso integrativo "Pensare la politica" (Liceo Classico M. Minghetti, Bologna, a.s. 2007/2008).
A monte, vi è l'idea che "politica" sia qualcosa che coinvolga tutti, accessibile a tutti, allettante per tutti. Ma che soltanto imparando ad esprimerci in modo più consapevole avremo posto le basi per praticarla ed apprezzarla davvero.
Se Wittgenstein era nel giusto, asserendo che i limiti del proprio mondo coincidono con i limiti del proprio linguaggio, allora iniziare, gradualmente, ad interessarci ad essa può voler dire rendere il nostro universo interiore più attraente. Più nuovo. E più ricco.