martedì 27 gennaio 2009

Riepilogo

Giunti alla terza lezione, ritengo opportuno riepilogare brevemente quanto detto sinora.
Segnalo anche una interessante sintesi dei capitoli di Schumpeter disponibile on-line, sul sito della facoltà di sociologia dell'Università di Milano:
www.sociol.unimi.it/corsi/scienzapoliticasie_al/documenti/File/Schumpeter.ppt

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Studiare empiricamente la democrazia, ricorrendo agli strumenti della scienza politica, significa spiegare il comportamento dei principali attori politici (elettori, leader, partiti, gruppi di pressione, etc.) in un sistema democratico: ovvero capire con quali mezzi e in vista di quali fini essi fanno quello che fanno. Diversamente dalla filosofia politica, la scienza politica non pretende di prescrivere un dato comportamento in luogo di un altro, bensì di descrivere e spiegare i comportamenti osservabili degli attori.
“Democrazia” è un termine estremamente popolare ed apprezzato, con cui quotidianamente si designa una varietà di situazioni, dinamiche, relazioni umane. Da un punto di vista politico, la “democraticità” – intesa come proprietà di ciò che è democratico – ha a che fare, in prima approssimazione, con nozioni quali a) l’esistenza di un popolo che decide; b) la tutela delle libertà fondamentali; c) la partecipazione ai processi decisionali; d) l’appartenenza ad una comunità. Il linguaggio quotidiano, tuttavia, pur non essendosi formato in modo arbitrario, contiene approssimazioni e storture che il linguaggio specialistico (proprio della scienza politica) si sforza di emendare. L’analisi empirica dimostra, infatti, che: a) non esiste un popolo – inteso come entità organica – in grado di esprimere una volontà omogenea, bensì una pluralità di volontà particolari/ individuali aggregabili in decisioni collettivizzate; b) la tutela delle libertà fondamentali è possibile unicamente se la democrazia è retta da un insieme di regole valide per tutti i membri della comunità, in grado di limitare l’operato dei detentori del potere; c) col termine partecipazione è possibile designare: c-1) il prendere parte: svolgere attivamente un’attività che sancisca una appartenenza; c-2) l’essere parte: il trovarsi oggettivamente in un dato status; c-3) il sentirsi parte, ossia percepirsi psicologicamente ed interiormente come parte di qualcosa; d) di per sé, non tutte le comunità sono democraticamente governate, e che pertanto non può esservi piena identificazione fra comunità e sistema democratico.
L’analisi empirica della democrazia ci dimostra che: 1) con il termine “popolo” o “comunità”, in una accezione restrittiva ma corretta, si designa una pluralità di individui che entrano in relazioni reciproche in modo tale da pervenire a decisioni collettivizzate; 2) esistono gradi diversi di partecipazione, a seconda del ruolo che si detiene all’interno della società (governati e governanti). Partecipazione in democrazia significa anche capacità di subire le conseguenze delle decisioni assunte da rappresentanti; 3) l’unanimità è quasi sempre un mero ideale: nella prassi, la decisione viene assunta dal “popolo” o dai suoi rappresentanti ricorrendo al criterio decisionale maggioritario temperato, che presuppone il rispetto dei diritti delle minoranze.
Un forte contributo allo studio empirico della democrazia è venuto da Joseph Schumpeter (1883-1950), che ha scorto nella democrazia un metodo di selezione delle élites (partiti e, soprattutto, leader) tramite elezioni libere, competitive e periodiche. Schumpeter ha infatti descritto il metodo democratico come «lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale i singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una competizione per il voto popolare» (in Capitalismo, Socialismo e Democrazia, 1942). Diversamente dalla c.d. dottrina classica, questa teoria presenta una serie di criteri empiricamente verificabili che permettono di distinguere i sistemi democratici da quelli non democratici: il voto deve essere libero; il consenso verificato tramite elezioni aperte, competitive ed organizzate a regolari intervalli di tempo; i leader devono essere posti in condizione di essere sostituiti da altri leader. È importante rilevare come, secondo Schumpeter, sia del tutto utopistico ipotizzare che i cittadini siano in grado di sviluppare un’opinione libera e indipendente (cioè razionale, secondo Schumpeter) dell’interesse generale, o degli interessi generali: i cittadini comuni sono influenzati dai mezzi di comunicazione e dai messaggi dei leader più di quanto costoro riescano a loro volta a influenzarli. La razionalità individuale è necessariamente limitata ad interessi circoscritti, quasi sempre privati o locali. Tanto più i problemi pubblici sono estesi, tanto più si assiste nella «perdita di senso della realtà» da parte di chi ne discute. Queste importanti intuizioni, elaborate da Schumpeter con largo anticipo sugli studi sociologici e politologici relativi al funzionamento delle società di massa, conservano tuttora larga parte della loro validità.
Siamo quindi passati a trattare il tema della partecipazione politica, mantenendo l’ottica empirica che ha contraddistinto la prima parte del corso. Concentrandosi sulla partecipazione intesa come prendere parte, abbiamo evidenziato che: a) la partecipazione è sempre praticata da individui, che possono, se vogliono, riunirsi in gruppi. Le azioni dei gruppi, nondimeno, sono sempre esplicabili come azioni individuali; b) la partecipazione presuppone un interesse individuale, ossia la volontà di ottenere un beneficio, per sé o per gli altri. Questo beneficio non è necessariamente egoistico, tuttavia la partecipazione è incomprensibile in assenza di tale interesse; c) la partecipazione ha un costo, giacché richiede l’impiego di risorse (a cominciare dalla risorsa “tempo”). I costi di partecipazione sono uno dei due tipi di costo di cui bisogna tener conto nell’ambito di un processo decisionale. Accanto ad essi, esistono i costi di legittimità.
I costi di partecipazione aumentano al crescere del numero dei partecipanti coinvolti in un processo decisionale. Il grafico dei costi di partecipazione esplicita il rapporto di proporzionalità diretta intercorrente fra numero di partecipanti ad un processo decisionale e risorse impiegate (a cominciare dalla risorsa “tempo”).
I costi di legittimità diminuiscono al crescere del numero di partecipanti coinvolti in un processo decisionale. Il grafico dei costi di legittimità esplicita il rapporto di proporzionalità inversa intercorrente fra numero di partecipanti ad un processo decisionale e rischio che la decisione finale si discosti dal volere del singolo individuo. In una situazione di perfetta eguaglianza nell’esercizio del potere decisionale (democrazia diretta), ogni membro della comunità detiene una quota pari a 1/N, ove N indica il numero complessivo dei partecipanti. In questa situazione, i costi di legittimità sono minimi. Viceversa, in una situazione in cui un solo individuo decide (monocrazia), i costi di legittimità sono elevatissimi, giacché il rischio che quell’individuo non tenga conto delle preferenze altrui è elevatissimo.
Intersecando le due curve, è possibile individuare una intersezione che ci svela il punto di equilibrio fra i due costi. E’ più realistico descrivere questo equilibrio non come una intersezione esatta, quanto piuttosto un’area (rettangolo geometrico). All’interno di quest’area, i costi di partecipazione sono abbastanza bassi per non generare uno stallo decisionale, mentre i costi di legittimità sono abbastanza alti per garantire che la decisione abbia una sua effettività (ossia che gli individui, anche dissidenti, riconoscano la sua validità e vi obbediscano). E’ bene tener conto della definizione di decisione politica collettivizzata: essa è a) sovrana (si impone gerarchicamente sulle decisioni dei privati); b) valida per tutti (vincola tutti coloro i quali si trovano nella fattispecie descritta dalla legge); c) effettiva (è rispettata da tutti i membri della comunità entro cui si applica).

lunedì 19 gennaio 2009

Segnalazione

Colgo l'occasione per segnalare un ciclo di incontri - iniziato a novembre - dedicato al tema "La destra, le destre: modelli e sfide", nell'ambito del Laboratorio di Analisi Politica curato annualmente da Carlo Galli per l'Istituto Gramsci - Emlia Romagna. Ad eventuali interessati, mi permetto di consigliarlo fortemente, vista la serietà scientifica e la qualità dei relatori.

Segue il programma degli ultimi tre incontri ed il link della pagina web relativa.

5 febbraio
Le sinistre davanti alle destre
Marco Revelli

12 febbraio
La libertà e la paura come orizzonti politici ed economici dell’età globale
Angelo Maria Petroni

19 febbraio
Democrazia e destre, oggi, in Europa
Piero Ignazi

http://www.iger.org/ladestraledestremodelliesfide-k-85-1.html