sabato 29 novembre 2008

Date ed orari del corso

Tenendo conto delle indicazioni degli iscritti, ho proposto al Liceo le seguenti date per i cinque incontri.

1)Lunedì 12 gennaio, h. 15-17

2)Lunedì 19 gennaio, h. 15-17

3)Lunedì 26 gennaio, h. 15-17

4)Lunedì 2 febbraio, h. 15-17

5)Lunedì 9 febbraio, h. 15-17

Naturalmente gli iscritti, in caso di modifiche, saranno avvertiti con congruo anticipo.

sabato 8 novembre 2008

Date ed orari del corso

Prossimamente dovrò consegnare alla Segreteria un prospetto definitivo che contenga le date ufficiali in cui si svolgerà il corso.

Invito caldamente tutti gli studenti iscritti a segnalare eventualmente uno o più giorni settimanali nei quali siano per certo impossibilitati a frequentare gli incontri. Suggerimenti potranno vertere anche sulla collocazione oraria preferita.
Il periodo dell'anno, invece, è già prefissato: gennaio/febbraio.
Eventuali segnalazioni dovranno pervenirmi entro e non oltre il 21 novembre.

Dato il numero non esorbitante di partecipanti, mi auguro di riuscire a conciliare le esigenze di tutti.
Mandatemi una mail a: tommasomilani@hotmail.com

giovedì 9 ottobre 2008

Quasi un'introduzione (2008/2009)

Un vecchio adagio – che oggi appare antichissimo – recitava così: «ci occupiamo del futuro, perché è lì che trascorreremo il resto della nostra vita». Se sostituissimo il termine “futuro” con “democrazia” stravolgeremmo il significato di quel motto, ma probabilmente diremmo qualcosa di vero riguardo alle aspettative di un ipotetico cittadino occidentale nostro contemporaneo.
È stato scritto, un’infinità di volte, che Europa e Stati Uniti sono la culla della democrazia, la sua dimora naturale ed il più solido bastione contro il dispotismo politico. Nemmeno il «contagio autoritario» patito dal continente europeo nella seconda, terza e quarta decade del XX secolo ha potuto seriamente incrinare questa immagine un po’ oleografica: l’«usurpazione della nostra tradizione», come ebbe a definirla Hannah Arendt – la tradizione della Magna Charta, dei diritti individuali, del parlamentarismo – rappresenta una pagina cruciale quanto tragica della storia recente, ma non ha impedito che istituzioni rappresentative venissero nuovamente instaurate, e con successo, al termine della Seconda Guerra Mondiale o dopo la caduta del Muro di Berlino. Una ragionevole dose di pessimismo intellettuale è sempre accettabile e persino raccomandabile, ma eccederemmo in cupezza se oggi scorgessimo i lineamenti di una evoluzione in senso autocratico dei nostri sistemi politici.
Tuttavia, si ha talora l’impressione che la democrazia, pur idealmente apprezzata, provochi quotidianamente amarezza, sconforto, frustrazione. È un fenomeno ben noto a sociologi e psicologi, che utilizzano il termine “disincanto” per definire il processo di disillusione che coinvolge chiunque (individualmente o collettivamente) tenti di mettere in pratica un’idea, pretendendo che la realizzazione coincida perfettamente con la sua proiezione astratta. Già Platone aveva magistralmente compreso l’enorme scarto esistente fra idealità e realtà, fra i modelli mentali che delineiamo e la loro forma effettiva, calata nella storia, allorché gli uomini debbono misurarsi – per dirla con Pasternak – con la «grezza materia del mondo».
La disillusione è inevitabile? In parte sì. La perfezione, si sa, non è di questo mondo, e certamente nulla è più distorto, disorganico e contingente del cosiddetto «pluriuniverso del politico» (Carl Schmitt). Ma, per contro, il disincanto è sovente originato dall’eccesso di aspettative che la democrazia – o, meglio, una certa teoria della democrazia, una certa visione di essa – suscita in ognuno. Col termine “democrazia” (si rilegga il Pericle tucidideo) non si designa infatti soltanto un regime politico, ma anche una cultura, una sensibilità, un insieme di valori, una particolare forma di società, e via dicendo. E può quindi avvenire che ad esso vengano associati, in modo più o meno arbitrario, una pluralità di significati, sfumature, valenze, che finiscono col farne una panacea per ogni male.
Il corso «Pensare la politica: la democrazia all’opera» muove da un assunto provocatorio: anziché pretendere di forzare inverosimilmente la realtà (tentativo disperato quanto fallimentare), perché non abbassare le nostre pretese? La scienza politica – intesa come riflessione empirica sull’agire politico, mirata a comprendere il funzionamento effettivo degli istituti analizzati – ci aiuta a comprendere quali aspettative, nei confronti della democrazia, siano fondate, e quali invece una semplice proiezione dei nostri desideri, pretese irrazionali o insensate. Esaminare la democrazia all’opera in modo realistico (non cinico, ma nemmeno venato di utopismi fuori luogo) può forse allontanarci dal rischio di dileggiare quella «democrazia possibile» (Giovanni Sartori) che, sebbene imperfetta e carente, rappresenta pur sempre il tentativo più civile e sofisticato elaborato dalla civiltà umana per risolvere pacificamente controversie e conflitti.
Capire la democrazia, prima di esaltarla: così potremmo riassumere la finalità del corso.
Nel XX secolo, la «teoria economica della democrazia» ha elaborato strumenti di rara raffinatezza per analizzare in modo distaccato il comportamento dei principali attori politici. La partecipazione, il voto, la formazione di una maggioranza, la rappresentanza e molti altri fenomeni sociali appaiono sotto nuova luce: forse meno nobile, certamente meno mitizzata. Il progetto, nell’arco di cinque incontri, mira ad offrire un’introduzione a questa rivoluzionaria ed influente scuola di pensiero, la cui lezione, per quanto severa, può rappresentare un ottimo punto di partenza nella ricerca di una visione più matura e consapevole della democrazia, la cui principale ricchezza risiede non in presunte virtù taumaturgiche, bensì proprio nella sua precaria e correggibile natura.

giovedì 2 ottobre 2008

Disordine mondiale e vita pubblica

Questo non è un blog di attualità e non aspira a divenirlo. Tuttavia, capita a volte di imbattersi in analisi - persino sulle colonne della grande stampa - che colgono alcuni stimoli sostanzialmente affini alle tematiche di cui, indirettamente, si dà conto su questa pagina web. Ezio Mauro, su La Repubblica di oggi, offre una disamina dell'attuale crisi finanziaria tale da suscitare l'interesse di chi si occupa di teoria politica. Non è detto che si debba concordare con lui, ma una sana lettura non guasta.

Il nuovo disordine mondiale
di EZIO MAURO

Non è solo finanza, non sono banche e Borsa solamente che stanno bruciando in questo incendio mondiale che sembra voler resettare il secolo dagli ultimi inganni e dall'unica ideologia superstite - un mercato universale senza Stato e senza governo - prima di farlo davvero ripartire. Chi dice che il capitalismo crolla mentre resuscita il socialismo non ha di nuovo capito niente, perché il capitalismo assiste all'incepparsi non di sé, ma del nuovo sistema di scambio simultaneo universale che sfrutta da un decennio lo strumento di reti che avviluppa il mondo abbattendo spazio e tempo, grazie alla potenza del motore tecnologico di internet, capace di vincere la storia rendendo tutto contemporaneo, e persino la geografia, facendo ubiqua ogni cosa. Ma non c'è dubbio che un pezzo di modernità sta saltando insieme alle banche d'affari, e questo ci coinvolge tutti, dovunque e comunque viviamo, perché ciò che va in crisi a Wall Street riguarda non solo l'America ma l'Occidente. In realtà vengono oggi al pettine nodi politici, economici, culturali, che nascono tutti nel Novecento mentre credevano di risolverlo, e sono invece arrivati fin qui senza riuscire a sciogliersi.

La credenza, prima di tutto, di una ricchezza e di una crescita senza il lavoro, senza una comunità di riferimento, dunque senza una responsabilità pubblica e le regole che ne conseguono. La riduzione della complessità della globalizzazione alla sola dimensione economica, anzi finanziaria. Lo scarto tra economia reale e realtà dei mercati finanziari, tra le transazioni valutarie e le transazioni commerciali, tra le merci, la moneta e il clic che invia l'ordine di comprare o di vendere in base a indicatori computerizzati. Il divario tra ricchi e poveri, che il boom tecnologico e finanziario ha accentuato, anche dentro gli stessi Paesi in via di sviluppo. Le nuove, improvvise gerarchie sociali che sono nate da questo sommovimento con una forza culturale che pretende il riordino di competenze, saperi, professioni, gruppi sociali, comunità, quartieri, aree del mondo e Paesi.

Il nuovo disordine mondiale, oggi, nasce proprio da qui.
La prima reazione alla crisi è il timore di rimanere coinvolti nella perdita improvvisa di ricchezza dovuta all'inganno di prodotti finanziari avariati, o alla speculazione sulla perdita di credibilità universale delle banche, o alla paura irrazionale che diventa panico e fuga.

Ma subito dopo, o contemporaneamente, cresce la preoccupazione per una domanda di governo complessiva della situazione, che non trova risposta, perché non sa nemmeno più quale sia il soggetto giusto a cui rivolgere la pretesa del cittadino di essere tutelato. Di vedere all'opera quello strumento di cui la globalizzazione credeva di poter fare a meno, nell'illusione di bastare a se stessa: cioè la politica.

Il problema è che in questi anni è finita fuori gioco non soltanto la politica come tecnica, o come azione delle istituzioni, ma qualcosa di più complesso. La rivoluzione finanziaria internazionale ha sfidato l'autorità tradizionale, la potestà stessa dello Stato-nazione a cui oggi i cittadini si rivolgono, come sempre nei momenti di crisi, accorgendosi improvvisamente che è scavalcato dai flussi e dalle reti della globalizzazione, i quali creano una nuova legittimità transnazionale - e non solo un mercato universale - a cui non corrispondono né uno Stato né un governo. La "bolla" è quanto di più moderno esista, perché non ha luogo, non ha confini, ignora le distanze come le tradizioni, conosce un'unica legge che è quella della crescita. Ma per le stesse ragioni è quanto di più lontano dallo Stato nazionale, dai suoi computi fiscali e dalla sua rete di responsabilità solidali o anche soltanto sociali. Quando va in crisi un sistema finanziario che muove ogni giorno una massa di scambi valutari molto superiore al Pil di vari Paesi, nessuna istituzione statale ha la capacità e la legittimità per controllare quel flusso in movimento.
Ci accorgiamo così che in questo processo non c'era stata soltanto una scissione tra capitale e lavoro, già consumata e evidente a tutti. In realtà è saltata l'alleanza tradizionale tra l'economia di mercato e lo Stato sociale, come dice Ulrich Beck, un'alleanza che ha sorretto per decenni il diritto, le istituzioni, la politica, la legittimità stessa delle classi dirigenti che si alternavano al comando, in una parola la forma pratica e quotidiana della democrazia occidentale. Da qui discendeva l'autorità (estenuata e faticosa, e tuttavia resistente) del governo della democrazia, e da questa autorità nasceva la governance della modernità che conosciamo, probabilmente l'unica possibile. Questa legittimità democratica nel governo della complessità contemporanea risiedeva soprattutto nel tavolo di compensazione tra i premiati e gli esclusi, quello che Bauman chiama il "nesso" tra povertà e ricchezza, una dipendenza che in realtà è un vincolo di responsabilità e attraverso la civiltà del lavoro (con i suoi conflitti) ha tenuto fino a ieri insieme e in gioco i vincenti e i perdenti della globalizzazione.

Se questo è vero, c'è addirittura un contratto sociale da riscrivere, una sovranità da ristabilire, un'autorità democratica che garantisca i diritti anche nel mondo postnazionale, prendendo possesso persino delle bolle senza spazio né tempo della globalizzazione. Anche perché la crisi complica la prospettiva, ma ripulisce lo sguardo. Il broker per strada a Wall Street, con la sua biografia professionale nello scatolone del licenziamento, esce dall'indistinto virtuale del paesaggio elettronico per tornare ad essere una figura sociale, politica, che non abita solo i numeri della finanza globale, ma cammina per la città reale. Così come il consumatore finirà per tradurre su se stesso - cioè su un soggetto di nuovo politico, sociale - il saldo finale del salvataggio americano, attraverso il peso ingigantito del debito. Tornano così ad avere senso quelle categorie che non riuscivano ad afferrare la crisi, perché i suoi paradigmi erano tutti post-moderni, creati per un'altra dimensione: il diritto, la diplomazia, la politica internazionale, addirittura il sindacato. Con l'ambizione di non tornare indietro, né attraverso la regressione di una chiusura insensata nei nazionalismi né attraverso la tentazione di contrapporre Main Street a Wall Street, vellicando le paure per farle popolo, o almeno plebe, comunque forza d'urto populista.

Una rete sociale, culturale, politica e istituzionale (basta pensare all'Europa e ai suoi ritardi) da ricostruire. Che gran compito per la politica: se la politica ci fosse, e soprattutto se fosse capace di pensare se stessa senza pensare politicamente.

martedì 30 settembre 2008

Pensare la politica: la democrazia all'opera

Fra gennaio e febbraio tornerà "Pensare la Politica".
Reagendo ad alcune sollecitazioni giunte da partecipanti all'attività dello scorso anno, il ciclo di incontri verterà sul funzionamento della democrazia contemporanea, analizzata da un punto di vista empirico e in linea con la c.d. teoria della "scelta razionale" (rational choice theory). Grande attenzione sarà riservata al problema delle tecniche decisionali e dei sistemi elettorali.
"Pensare la politica: la democrazia all'opera" si articolerà in cinque incontri, della durata di circa due ore ciascuno. Sarà aperto, come sempre, a studenti tanto del liceo quanto del Ginnasio.
A presto per informazioni più dettagliate.

lunedì 14 aprile 2008

Elogio della Politica

Segnalo il programma degli incontri "La Permanenza del Classico".
L'ideale per disintossicarsi da una campagna elettorale.

http://www2.classics.unibo.it/Permanenza/2008/locandina_elogio_politica.pdf

giovedì 6 marzo 2008

Considerazioni finali

Col presente messaggio vorrei formulare rapidamente qualche riflessione in merito al ciclo di incontri conclusosi oggi. Ringraziandovi anzitutto per l’assiduità nella partecipazione, ripeto in parte quanto detto ad incontro terminato a coloro i quali hanno avuto modo di trattenersi qualche minuto in più.
La fine del corso pomeridiano non è – nelle intenzioni – la fine di un percorso. Non so ancora in che tempi ed in che forme, ma posso garantire una mia partecipazione all’attività didattica “integrativa” del Liceo Minghetti nel 2008/2009.
Rimango a disposizione per ogni genere di chiarimento o richiesta di approfondimento, anche in vista di possibili «tesine» d’esame per gli studenti di terza liceo «in uscita». Resteranno attivi sia il blog, che periodicamente tenterò di aggiornare con indicazioni e segnalazioni meritorie, sia il mio indirizzo e-mail (tommasomilani@hotmail.com), cui potete rivolgervi per contattarmi. Sarebbe assai gradito, inoltre, se qualcuno volesse inviarmi commenti o suggerimenti sul lavoro svolto insieme: mi aiuterebbe a migliorare nella realizzazione, in futuro, di progetti affini a questo.
Pubblico, in questa sede, la lista delle presenze, sulla base della documentazione raccolta.
In caso di discrepanze ed imprecisioni nei miei calcoli, siete ovviamente pregati di contattarmi.

Lista:

Brignone Francesco (V F): 4 presenze;
Pirone Elia (V F): 6 presenze;
Nadalini Edoardo (I D): 7 presenze;
Ferratini Enrico (I D): 1 presenze;
Cinti Andrea (I E): 7 presenze;
Larcher Clara (I E): 7 presenze;
Muratori Greta (I H): 1 presenza;
Frazzoni Sara (I H): 1 presenza;
Scartezzini Federica (I H): 1 presenza;
Galliani Giulio (III A): 7 presenze;
Ballandi Giacomo (III C): 8 presenze;
Taurino Giulia (III D): 6 presenze;
Lodi Alberto (III E): 8 presenze;
Marlia Emanuele (III E): 8 presenze;
Crabboledda Gabriele (III E): 7 presenze;

Buon lavoro e grazie ancora a tutti.

giovedì 21 febbraio 2008

Link e avviso

Inserico il link al testo citato a lezione. La lettura - vi avviso - non è delle più facili. Ma poiché nessuno è mai morto per il troppo leggere, vi invito a compiere un tentativo.

http://www.lastoria.org/hobbesmoro.htm

Ripeto qui, inoltre, quanto detto sul finire della lezione a beneficio degli assenti.
Per l'ultima lezione (primi di marzo), mi farebbe piacere se riusciste a procurarvi una copia (fotocopiata, presa in biblioteca, acquistata... come preferite) della conferenza di Max Weber "La politica come professione" (tradotta anche come: "La politica come vocazione"). Ne esistono ottime versioni sul mercato: quella Mondadori (2006), quella Einaudi (2004 e 2001), quella Armando (1997) et cetera.
La lezione si baserà su un'analisi del testo, quindi non sarebbe male se i più ardimentosi osassero una lettura in proprio.
Non vi inoltro la mia copia del testo in formato PDF per molte ragioni: la pesantezza del file, anzitutto; ma anche per il fatto che la versione da me posseduta, reduce da molteplici letture e riletture, è coperta di appunti e note a margine.

Grazie e buon lavoro.

giovedì 14 febbraio 2008

Link consigliati

Segnalo alcuni link a beneficio di chi volesse approfondire i temi toccati oggi.

Riguardo ai rapporti fra cattolici ed Ugonotti in Francia sino all'editto di Nantes:
http://www.lastoria.org/fischer3.htm


Riguardo al ruolo delle "Vindiciae contra tyrannos" (1579) nella storia del pensiero politico, si veda questo contributo di Harold J. Laski (in lingua inglese):
http://www.constitution.org/vct/vind_laski.htm

Sull'idea di patto nell'ambito del pensiero politico riformato (anch'esso in lingua inglese):
http://www.acton.org/publications/randl/rl_article_238.php

domenica 10 febbraio 2008

Aggiornamento

Mercoledì prossimo riprenderanno regolarmente gli incontri (come sempre in Aula 10, alle ore 15).
Trovandoci esattamente a metà del percorso, nonché ad un momento di svolta, può forse essere opportuno fare brevemente il punto.
Nei primi quattro appuntamenti abbiamo analizzato i concetti basilari attorno ai quali il pensiero politico occidentale si è sedimentato in quattro distinte fase storiche: Grecia, Roma, Medioevo ed età comunale.
All'originaria centralità ed al predominio del "politico", espressa nelle forme olistiche ed organicistiche del paradigma aristotelico-platonico, si è gradualmente sostituita l'idea di un ordinamento plurale e stratificato nell'organizzazione degli affari umani. A Roma, lo sviluppo di un diritto non politicizzato disciplinante i negozi privati fra soggetti e la dottrina dell'autorità - basata sulla disgiunzione di auctoritas e potestas - testimoniano il primo, compiuto tentativo di ripensare l'agire umano, limitando l'onnipotenza della sfera pubblica.
Ancora più radicale è la frattura, introdotta dal cristianesimo di Paolo e Agostino, fra Regno di Dio e civitas umana. La salvezza dell'anima, prioritaria rispetto al "buon vivere" politico, richiede la soggezione passiva al potere mondano, quand'anche iniquo: potere mondano che, nondimeno, è legittimato dalla Chiesa, mediatrice fra Cielo e Terra. Di qui, la formulazione della dottrina "polemogena" delle due spade, basata su una coesistenza dialettica - mai compiutamente risolta, né da tutti riconosciuta - di spirituale e temporale, nella quale spetta alla burocrazia carismatica del clero la prerogativa di critica permanente del potere politico (dottrina che, nelle formulazioni più radicali, giunge a riconoscere la liceità del tirannicidio). Esattamente l'opposto di quanto avviene ad Oriente, ove, sulla scia di Eusebio e di Giustiniano, la Chiesa Ortodossa assumerà in numerose circostanze la funzione di ancella del potere costituito, riconoscendo all'imperatore una primazia sull'autorità ierocratica (cesaropapismo).
Al contrario, è l'umanesimo politico, coevo alla crisi degli universalismi papale ed imperiale ed indissolubilmente legato al declino della feudalità, a riproporre la centralità del "politico", difendendo l'eredità greco-romana del governo delle leggi - contrapponendola al governo degli uomini - e facendo della virtù civile un parametro alternativo alla nozione tomistica di iustitia. Sarà, successivamente, Machiavelli ad arricchire tale prospettiva, riconoscendo la positività del conflitto politico come motore delle repubbliche (dottrina degli "umori").
Mercoledì prossimo concentreremo la nostra attenzione su tre termini decisivi per poter comprendere l'importanza del contributo hobbesiano (che esamineremo il 20/2): quelli di diritto naturale, di patto e di sovranità.

giovedì 31 gennaio 2008

Rinvio incontro mercoledì prossimo

Per inderogabili impegni universitari, mercoledì prossimo non sarò a Bologna.
L'incontro n. 5 sarà quindi posticipato al mercoledì successivo, facendo scalare di una settimana la conclusione del ciclo di incontri.
Buon lavoro.

domenica 27 gennaio 2008

Segnalazione

L'istituto Gramsci dell'Emilia Romagna (www.iger.org) organizza, come ogni anno, un ciclo di incontri dedicati alla politica in età contemporanea. Segnalo e consiglio caldamente, anche alla luce dei prestigiosi nomi coinvolti (sottolineo con particolare piacere la presenza del prof. G. Zanetti, studente al Liceo Minghetti ed attualmente professore di filosofia del diritto presso l'Università di Modena e Reggio Emilia).

LABORATORIO DI ANALISI POLITICA 2008
Gli orizzonti della democrazia
29 gennaio - 28 febbraio 2008, ore 17.15
Sala dell'Aquila, Via Galliera 26, Bologna

Responsabile scientifico: Carlo Galli

Nella sua settima edizione il Laboratorio di analisi politica affronta alcune delle questioni cruciali che oggi interpellano più da vicino la coscienza civile: se l’unica politica che il nostro tempo legittima è la democrazia, che cosa essa concretamente è, e che cosa può essere?

Gli incontri di quest’anno si propongono di aiutare a porre le giuste domande per decifrare – e per non rispondervi con modalità più o meno affrettate – alcuni problemi emergenti: le nuove forme della politica che non sono più contenute all’interno di istituzioni obsolete, le sfide proposte dai poteri che normano e governano la vita, le angosce davanti alle minacce alla sicurezza dei cittadini, le sfide del multiculturalismo.

Data la complessità dei temi proposti, alcuni incontri avranno forma dialogica; inoltre, il sito della Fondazione Istituto Gramsci ospiterà i testi di tutte le relazioni e offrirà l’opportunità di intervenire su di esse.

Nel corso del Laboratorio sarà presentato l’Annale della Fondazione che raccoglie alcuni degli interventi che l’hanno animato e caratterizzato nei suoi primi cinque anni di vita.

SEMINARI

29 gennaio – 28 febbraio 2008 alle ore 17.15
Sala dell’Aquila
Via Galliera 26 - Bologna

29 gennaio
Democrazia: concetti e storia
In occasione della pubblicazione del libro di Nadia Urbinati Ai confini della democrazia: opportunità e rischi dell'universalismo democratico, Donzelli, Roma 2007
Carlo Galli e Nadia Urbinati

7 febbraio
Democrazia e sicurezza
Massimo Pavarini e Giuseppe Sciortino

14 febbraio
Democrazia, bioetica e biopolitica
Stefano Canestrari e Gianfrancesco Zanetti

21 febbraio
Democrazia e innovazione politica
Piero Ignazi

28 febbraio
Democrazia e diritti nelle società multiculturali
Gustavo Gozzi


Per informazioni
tel. 051 231377 / 227971
info@iger.org

sabato 19 gennaio 2008

Segnalazione

Lunedì 21 gennaio, presso il Circolo Pavese (via del Pratello, 53), dalle 21 alle 23, si terrà un incontro di lettura dedicato a Walt Whitman, poeta statunitense, organizzato dall'associazione culturale "La Bottega dell'Elefante".
Qualcuno potrebbe chiedersi che rilevanza abbia ciò con il pensiero politico.
Punto uno: Walt Whitman non solo è stato un raffinato poeta "civile", capace di infondere nei versi del suo "Foglie d'erba" un'etica pubblica ed una sensibilità libertaria di vasto respiro, ma anche un sottile saggista, come testimonia il suo (poco noto in Italia) "Democratic Vistas", edito dal Melangolo nel 1995.
Punto due: lettura e commento dei testi saranno curati da Nadia Urbinati, docente di Political Theory presso la Columbia University, una delle più acute filosofe politiche contemporanee, da anni impegnata in ricerche inerenti il rapporto fra pensiero democratico e liberalsocialismo. Come dire: de nobis fabula narratur.
Per saperne di più: www.labottegadellelefante.it

sabato 12 gennaio 2008

Primo incontro

Invio qualche nota di riepilogo in merito all'incontro di due giorni fa, soprattutto a beneficio degli assenti.

Mercoledì 9 gennaio, aprendo il corso, ho chiarito da subito che finalità di questi incontri non è la somministrazione di conoscenze, bensì suscitare interesse, curiosità, interrogativi intorno a tematiche tendenzialmente ai margini del canonico curriculum liceale. Marginalità difficilmente comprensibile, giacché ognuno di noi – anche chi non farà della politica né una professione, né l’oggetto dei propri studi – sarà periodicamente chiamato ad imbattersi in problemi politici, così vasti e determinanti da condizionare in modo significativo la sua vita. Richiamando la definizione di democrazia come «potere in pubblico» (N. Bobbio), ho inteso porre l’accento sul fatto che la politica ci riguarda: e disinteressarcene, per quanto legittimo, non riduce certamente l’incidenza che essa ha su di noi (ma, tutt’al più, la nostra su di essa).
Il fatto che tutti, in un modo o nell’altro, siamo “ostaggi” della realtà politica non significa però che agire politicamente sia semplice, o che la comprensione della politica sia qualcosa di banale e immediato. Al contrario essa richiede prudenza ed impegno. Può essere utile, quindi, acquisire da subito consapevolezza delle principali insidie in cui siamo destinati ad imbatterci, muovendo i primi passi in un simile terreno minato.
Anzitutto vi è la tentazione – diffusa anche tra gli specialisti – di credere che determinate istituzioni o idee siano sempre esistite e sempre esisteranno, dando per assodato che il patrimonio concettuale mediante cui noi oggi operiamo sia rimasto sostanzialmente lo stesso dai Greci ai giorni nostri. In altri termini, l’universo politico assomiglierebbe ad una sorta di “Meccano”, che ogni civiltà avrebbe composto e ricomposto a suo modo, servendosi però dei medesimi pezzi. Ciò ha spinto alcuni, ad es., a definire acriticamente «Stato» qualsiasi organizzazione del potere operante su un territorio, di fatto condannandosi a non comprendere che: a) l’idea di Stato, propriamente intesa, affonda le proprie radici nell’età moderna, e non può esser fatta risalire all’esperienza ellenica o romana; b) lo Stato, nelle forme in cui l’Occidente l’ha conosciuto, è attualmente oggetto di radicali processi di trasformazione (riconducibili anzitutto alla globalizzazione e all’affermazione di autorità sopranazionali, quale l’Unione Europea) che potrebbero metterne a repentaglio l’esistenza.
La realtà politica, essendo di per sé dinamica e mutevole (ossia storica), non può essere imbrigliata all’interno di un lessico statico, né considerata mai perenne e definitiva.
In secondo luogo, abbiamo sottolineato i rischi insiti nell’illusione che il “buon senso” scevro da riflessioni ulteriori possa rappresentare una risposta neutrale e risolutiva ai più urgenti problemi politici del nostro tempo. Lungi dall’aver posto fine a millenari dibattiti sull’essenza del politico e le sue sfaccettature, l’ondata di pragmatismo susseguente alla caduta del Muro di Berlino, testimoniata dalla popolarità di autori dichiaratamente post-ideologici (C. Lasch, A. Giddens, F. Fukuyama), ci induce invece a ricordare come ogni forma di pensiero – anche la più “neutra” ed “imparziale” – debba fare i conti con la tradizione culturale entro cui è nata, e da cui ha ereditato, in modo più o meno consapevole, quegli stessi postulati e categorie concettuali da cui intende emanciparsi. Il pensiero umano è sempre storico; ogni impostazione mirante a negare l’importanza dell’evoluzione nelle vicende umane conduce alla sterilità euristica e all’impoverimento conoscitivo.
Il che ci ha spinto – e giungiamo così al terzo punto – ad evidenziare le difficoltà avvertite da ognuno di noi nel tentare di comprendere un’opera del passato: difficoltà dovuta al linguaggio, potente filtro che ci impedisce di cogliere in modo immediato il significato di un testo.
Per comprendere ciò che, ad es., Machiavelli od Hobbes intendevano dire (decodificare, cioè, cioè quelli che Austin e Searle hanno definito “atti illocutori”) non è possibile prescindere da una contestualizzazione del testo, soffermandosi in particolare sugli usi linguistici dell’epoca.
Successivamente, abbiamo messo in luce un’importante distinzione interna alla comunicazione politica: quella fra linguaggio comune e linguaggio specialistico.
Secondo G. Sartori, il linguaggio comune: a) è formato da pochi vocaboli; b) tali vocaboli spesso celano una pluralità di significati, tendenzialmente indefiniti; c) mira alla semplicità espositiva; d) fa appello alla dimensione emotiva, ricercando l’adesione passionale dell’ascoltatore.
Il linguaggio specialistico: a) è formato da numerosi vocaboli; b) tali vocaboli hanno significati precisi e dettagliati; c) mira alla chiarezza espositiva; d) fa appello alla dimensione razionale, ricercando la chiarezza logica dell’esposizione.
Mentre il linguaggio comune risulta sviluppato in qualsiasi contesto sociale, il linguaggio specialistico si è storicamente affermato in contesti collettivi particolarmente articolati e sofisticati, come risposta alle esigenze di organismi sociali complessi (es. la società di massa diffusa in Europa e USA fra XIX e XX secolo). Tale distinzione non ha però finalità gerarchiche: non si intende infatti sancire la superiorità del linguaggio specialistico su quello comune (che peraltro sopravvive ampiamente nella discussione politica quotidiana, specialmente nell’attività persuasiva da parte dei leaders), bensì rimarcare la diversità di origini e di funzione.
Infine abbiamo distinto due sfere di applicazione del linguaggio specialistico: la filosofia politica e la scienza politica. Il rapporto fra esse è particolarmente complesso e controverso. Possiamo avanzare una macrodemarcazione fra esse (non l’unica, ma senza dubbio la più nitida) distinguendole sulla base dei quesiti che le animano. La filosofia politica si interroga, in prima istanza, sul grado di giustizia di un determinato ordine e/o istituto, sottoponendolo ad una valutazione di carattere etico-morale (c.d. giudizio di valore). La tradizionale domanda al cuore della filosofia politica, dall’antichità ad oggi, verte sulla miglior forma di governo (cfr. Erodoto, III 80). La scienza politica, viceversa, si basa sulla concreta praticabilità di un ordinamento, concentrandosi cioè sulle condizioni materiali che ne rendono possibile l’esistenza (“buono” o “cattivo” che sia). Essa si fonda, principalmente, sulla raccolta di dati empirici e si pone obiettivi applicativi (c.d. giudizio avalutativo). L’avalutatività come criterio distintivo fra scienza e non-scienza è al centro degli scritti metodologici dal sociologo tedesco Max Weber.

PS. Consiglio, a chi volesse riflettere sul rapporto fra conoscenza della politica e concrete possibilità di agire, la visione di "Leoni per Agnelli" al cinema, prestando particolare attenzione ai dialoghi fra il professor Malley (Robert Redford) e l'allievo Todd Hayes (Andrew Garfield).

mercoledì 2 gennaio 2008

Primo incontro mercoledì prossimo

Augurando buon 2008 a tutti, ricordo che il primo incontro si terrà mercoledì 9 gennaio, dalle 15 alle 17 circa. Gli iscritti sono caldamente invitati a partecipare, anche perché fornirò le informazioni "tecniche" più utili per poter seguire in modo proficuo il corso.
Buone vacanze e buon lavoro a tutti!